Teatro Caverna

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In repertorio

L'uomo che piantava gli alberi


L'UOMO CHE PIANTAVA

GLI ALBERI

Liberamente ispirato 
all’omonimo racconto di Jean Giono


Ideazione e voce Damiano Grasselli

Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni.
Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l’idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d’errore, di fronte a una personalità indimenticabile.
Jean Giono



LA STORIA
La storia, narrata da un uomo che rimane anonimo per tutto il racconto, ha inizio nel 1910, quando il giovane narratore intraprende un'escursione in solitaria attraverso la Provenza, in Francia, arrivando fin sulle Alpi.

Il narratore finisce le scorte d'acqua in una vallata deserta e senza alberi, dove cresce ovunque solo lavanda selvatica, senza alcun segno di civilizzazione. Il ragazzo incontra un pastore di mezza età, che gli mostra una sorgente d'acqua che conosceva.

Curioso riguardo al pastore e alla vita solitaria che conduce, decide di restare presso di lui per alcuni giorni. Il pastore, divenuto vedovo, aveva deciso di migliorare la landa desolata in cui viveva facendovi crescere una foresta, un albero per volta. Il pastore, Elzéard Bouffier, aveva già piantato oltre centomila querce.

Il narratore torna a casa, e più tardi si arruola come soldato nella prima guerra mondiale. Nel 1920, traumatizzato e depresso, l'uomo torna dal pastore, ed è sorpreso alla vista di migliaia di alberelli in tutta la vallata, e nuovi torrenti dove non scorreva più acqua da anni. Da quel momento, il ragazzo tornerà a trovare Elezéard Bouffier ogni anno



LA LETTURA
Uno spettacolo-lettura fatto con una luce fioca che si accende man mano passano i minuti, di un agire minimo, silenzioso, scandito dal levare delle pause silenziose più che dal battere dei suoni.
Gesti minimi e luci accennate, per un lavoro intimo, sussurrato.

Il pubblico, a brevissima distanza dall’attore, viene stimolato all’ascolto da un gioco di voce che avvolge, con musiche tradizionali e filastrocche popolari.
Un momento che non deve forzatamente essere riflessione, ma che invita, senza dubbio, all’azione.